Dom Perignon P2 2000: l’istante perfetto di Richard Geoffroy

Ho la fortuna di degustare Dom Pérignon da decenni. Fin da quando ero un bambino. Forse, smesso il latte da mia madre, ho cominciato direttamente a bere Dom saltando i passaggi intermedi usuali per ogni uomo (ovvero acqua, bibite, vino, champagne, superalcolici, poi solo ed esclusivamente champagne, infine di nuovo acqua quando il medico ti dice che… basta così).

In tanti anni non ricordo più quanti articoli ho scritto su Dom Pérignon. Ma ogni volta è come se fosse il primo. Perché quando si parla di Dom è il fattore tempo a comandare, non tu: travalica i limiti, permea ogni esperienza, sei nelle sue mani.

Circa tre lustri fa Richard Geoffroy volle omaggiare un mio resoconto “folle” e fuori dagli schemi pubblicato su Spirito di Vino: mi fece recapitare, con ampio anticipo rispetto alla sua uscita ufficiale, una bottiglia di Dom Pérignon 1966, la mia annata di nascita.

Quando arrivò quel nettare celestiale lo fissai a lungo, tormentato da un dubbio atroce e malvagio. E adesso? Quando sarà il momento giusto per berla? Ho lasciato che a decidere fosse la mia regola inflessibile riguardo a Dom Pérignon: farlo il prima possibile. E così feci. Il rituale fu identico a quello in vigore ancora oggi: appena ne entri in possesso versi il Dom nel calice, lo porti lentamente al naso, lo sorseggi e … boom, sei catapultato di colpo in un universo parallelo.

Come avrete facilmente intuito la causa principale di questa mia dipendenza da Dom, che ti permette di percepire in un istante il senso profondo della bellezza, della sensualità e del benessere esistenziale, è lo Chef de Cave della Maison, Richard Geoffroy.

Discendente da una famiglia di viticoltori, Richard Geoffroy nasce nel 1954 nel cuore della Champagne, a Vertus, nella Côte des Blancs. Anziché una carriera predestinata nel mondo del vino, Richard sceglie di studiare medicina e ottiene il dottorato. Tuttavia, il richiamo dei vigneti è troppo forte e, dopo una lunga riflessione, torna alle sue radici per studiare presso l’École Nationale d’Oenologie a Reims, dove si diploma nel 1984.

Inizia la sua nuova carriera come consulente tecnico per Domaines Chandon e viene nominato Chef de Cave di Dom Pérignon nel 1990: da allora custodisce e segna il destino di questo vino leggendario.

Nel 2000, Richard Geoffroy decide di donare agli amanti di Dom Pérignon i Millesimati più rari e più antichi, direttamente dalla sua Œnothèque. È lui stesso a scegliere il tempo in cui questi vini possono essere riproposti, in momenti molto speciali della loro evoluzione, in cui raggiungono un picco nella loro espressione: le Plénitudes di Dom Pérignon.

Ho abusato di una quantità vergognosa di Dom Pérignon P2 2000 durante una calda serata romana di giugno. Uno champagne empireo, aristocratico, immensamente profondo e avvolgente. Eppure così immediato, comprensibile, confidenziale nel rendere chiara la sua indole, la sua vitalità. Non mi sono limitato a riempirmi la mente e l’anima di Dom, ho anche ascoltato le parole di Richard, proferite con serenità, pacatezza, sempre inframmezzate dal suo peculiare sorriso, malizioso e ieratico.

“Dom? La visione è l’elemento fondamentale, la capacità di guardare al futuro e di rischiare: l’avventura di Dom è l’annata, il vintage, la sua prerogativa è di essere testimone di un anno e di restituirne tutte le sfumature: il carattere della stagione, la vita nelle vigne e in cantina, le vittorie, ma anche gli insuccessi e i fallimenti. Tutto questo è Dom, ha il destino di esprimere lo spirito della Champagne”.

Armonia, essenziale per Dom. Più della potenza. La sua intensità vive un’avventura nel tempo, il termine plénitude significa completezza di vita, maturità, “il momento dell’esistenza in cui s’irradiano tranquillità e leggerezza al di fuori di noi”.

C’è voluto tanto tempo affinché questo P2 2000 arrivasse alla sua plénitude, “il tempo è energia, il tempo è qualcosa di attivo per il vino, prima o poi arriva il momento perfetto” dice Richard.

Il tempo, ovvero l’equazione di Dom. Forme successive si susseguono: una prima plénitude tra i 7 e i 10 anni, la seconda dopo 12 anni, la terza dopo 25 o 30 anni.

Difficile prevedere quanto possa vivere un Dom Pérignon. Forse per sempre, al contrario del sottoscritto. E quest’ultima è una consapevolezza che mi causa un irritante disagio.

Sarebbe bello essere felici per sempre.

Mi accontenterò di qualche istante. Quelli più importanti. Quelli che non si dimenticano mai. Quelli in cui te la giochi alla pari con Christoph Waltz. O almeno ti illudi che sia realmente così.