Enoteca Pinchiorri, la leggenda continua…

Photo by Lido Vannucchi

La recente presentazione della Guida Michelin 2018 fotografa l’ottimo livello della ristorazione italiana che anche quest’anno annovera nuovi ingressi nel firmamento rosso, ma conferma anche l’eccellenza granitica di alcuni templi del buon vivere.Già, perché riuscire a mantenere costanti i massimi livelli richiede uno sforzo quotidiano di studio e impegno tutt’altro che statici, in un settore che si conferma in crescita e che non cessa di destare interesse, non solo sul piano meramente ristorativo, ma anche e fortunatamente culturale.

Mantenere un equilibrio che sia la risultante di studio e aggiornamento (sulle tecniche culinarie, in primis), ingegno e arte dell’accoglienza, capacità di comunicare la propria immagine, è una sfida che l’Enoteca Pinchiorri raccoglie con eleganza da oltre quarant’anni, confermando il proprio primato quale punto di riferimento mondiale per il bien vivre, dove la bellezza abbraccia ecumenicamente tutti i sensi. La leggendaria cantina, come l’ha definita Veronelli, che si può visitare come un museo è ancora oggi il fulcro e il vanto di Giorgio Pinchiorri che arriva ogni giorno puntuale prima del servizio per assaggiare i piatti creando gli opportuni abbinamenti, con quella sua verve incrollabile e una passione che non lo abbandonano dal 1970, anno in cui fu assunto come sommelier all’Enoteca Nazionale, trasformata poi nel 1979 in Enoteca Pinchiorri dopo l’ingresso in cucina della compagna Annie Féolde con i suoi piatti bilingue, francesi e italiani, minimalisti ma sempre eleganti.

Piccione in crosta di fave di cacao e sale, con chutney di mango, carota alla paprika e salsa alla diavola

Ma è un’emozione che si rinnova ancora oggi nell’incontrare una cucina classica eppure fresca e accattivante, che ci piace enfatizzare perché sta tornando a nuovo fulgore, grazie alla sensibilità e abilità di un team solido che sotto l’indefessa supervisione della signora Féolde, è guidato dallo chef Riccardo Monco (da Pinchiorri dal 1993), dallo chef de cuisine Alessandro Della Tommasina e dal pastry chef e lievitista Luca Lacalamita.

La lezione che ho ricevuto da Paracucchi quando avevo 17 anni, riverbera ancora oggi in maniera determinante nel mio modo di fare cucina, con un’attenzione particolare agli ingredienti che sono espressione di un territorio. Chi viene a mangiare nel nostro ristorante vuole un’identità, vuole capire un territorio, ecco perché non vogliamo fare una cucina d’avanguardia, non puntiamo sulla creatività, ma miriamo a una comprensibilità che non venga sopraffatta dalla tecnica” racconta chef Monco.

Crudo e cotto di scampi

Eppure i piatti sono grandiosi, concettualmente perfetti, millimetrici nelle consistenze e nelle temperature, oltre che estremamente buoni: è il caso del Crudo e cotto di scampi proposto in versione autunnale con contrasti di temperatura a dare l’idea del passaggio di stagione. Un piatto che è una sinfonia vivaldiana che inizia con la battuta di scampo nella chela, piccole lamelle di porcino e spuma di burrata, fino a raggiungere il porcino cotto in casseruola e la coda di scampo alla plancia e una gelatina di brodo di porcini. La dolcezza dello scampo (cui non viene aggiunto sale per valorizzarne la nota salina connaturata) e la nota boschiva, con il suo profumo di terra umida, sono sdoppiate nella duplice versione cruda e cotta, per diversificare i sapori scandagliandoli a tutto tondo, per un inizio pasto davvero emozionante.

Leggera battuta di manzo anguilla in dolceforte ricci di mare sedano e purea di mandorle

La Leggera battuta di manzo, anguilla in dolceforte, ricci di mare, sedano e purea di mandorle, è un antipasto in cui il corollario di anguilla e riccio – un abbinamento che è tradizionale in Enoteca, quello di carne e pesce – insieme agli altri elementi sono il condimento che va a comporre la classica tartare, qui disposti separatamente in modo che ogni boccone risuoni di note diverse. Una battuta che viene montata con acqua gassata in modo che la CO2 dia ariosità, tanto da renderla quasi un soffice, cui si affianca un riccio di mare raccolto ad hoc per Pinchiorri da un pescatore di Livorno, e un cubo di anguilla – quasi un gianduiotto – la cui laccatura non è ottenuta con salsa di soia, ma con un mix di aceto di vino rosso, aceto affumicato e una marinatura in olio di basilico.

Tra i primi piatti non possono mai mancare gli Spaghetti alla chitarra con frutti di mare e crostacei, briciole di pane e bottarga di muggine, una classicità generosa, da grande ristorante, che si affranca dalle mode, che si fa pensiero profondo e meditato senza essere frutto di una creatività dell’ultim’ora. Lo chef sembra volerci suggerire che la cucina italiana è associativa, frutto di un intreccio sapiente di (anche pochissimi) ingredienti che rendono un piatto unico e resistente nel tempo.

Ma l’autunno prodigo di sapori e colori strizza l’occhio a Oriente – chef Monco è un grande amante del Giappone, in cui si reca ogni anno anche a visitare la sede di Pinchiorri a Tokio, aperta nel 1992 – con il magnifico Uovo in sfoglia croccante con radici, sale e pepe. In pratica un raviolo aperto realizzato con la pasta per gli involtini cinesi, con tuberi avvolti in albume montato e fritti, acciughe disidratate, cotenna di maiale soffiata, tuorlo d’uovo disidratato, servito su un piatto di legno tailandese a rendere il senso della terra, ricollocandolo nel suo habitat naturale. Un piatto opulento dalla calata quasi piemontese (per l’uovo, l’acciuga e il topinambur), orientale ma solo per le tecniche, una sorta di English breakfast all’italiana nel bosco (l’uovo che incontra la cotenna di maiale, i tuberi e i funghi a dare erbaceo e bosco), ma sicuramente un piatto dai sapori pieni, tondi, decisi.

Uovo in sfoglia croccante con radici, sale e pepe

La componente orientale è importante non tanto per la resa dei sapori, quanto per l’impostazione, per il rispetto della materia prima, per cui ogni ingrediente, anche se usato come contorno, ha la sua importanza, come dimostra la cucina kaiseki in cui ogni ingrediente è valorizzato e concorre alla bontà e alla completezza del piatto.

Di nuovo tradizione con il Risotto alla zucca, cubi di testina di vitello marinati all’aceto, semi di zucca e orzo tostato, con il risotto cotto in brodo di zucca per renderne al meglio il sapore, e servito con piccoli rolls di zucca marinata nell’aceto di mele e olio ala salvia fritta, mentre tra i secondi imperdibile il Piccione in crosta di fave di cacao e sale con chutney di mango, carote alla paprika e salsa alla diavola, a ricordare il classico dolce forte con note speziate e profumate.

Risotto alla zucca, cubi di testina di vitello marinati all’aceto, semi di zucca e orzo tostato

Un capitolo a parte merita il momento dei dessert creati e curati da Luca Lacalamita. Il pastry chef, originario di Trani è giustamente uno dei vanti dell’alta pasticceria italiana odierna, approdato da Pinchiorri nel 2010 dopo aver lavorato nella pasticceria del Dorchester e al Pétrus di Gordon Ramsay a Londra, da Cracco, a elBulli per un anno e mezzo e un anno all’Osteria Francescana. La sua è una pasticceria italiana, moderna, molto tecnica ma modulata secondo i canoni della cucina, in nome della massima continuità e coerenza. La sua ricerca si spinge anche nel territorio dei lievitati, con uno studio approfondito sulle farine – che provengono da un mulino che fa macinazione a pietra lavica dell’Etna – e i lieviti per approntare una carta dei pani (4 tipi in tutto) che cambia a seconda della stagione, e che in questo periodo dell’anno privilegia quello di segale, a partire da una farina integrale con miglio decorticato, con la crusca cotta come se fosse un porridge e lievito madre liquido. Anche la lavorazione del cioccolato è un altro dei fiori all’occhiello dell’Enoteca: la lavorazione è completamente artigianale e il cacao viene temperato a bagnomaria e successivamente elaborato nell’apposita stanza fredda.

Attorno al castagnaccio castagne, marroni, miele e mele, pinoli e rosmarino

Nel tempo i dolci si sono fatti progressivamente meno zuccherini, gli Adrià, soprattutto Albert, sono stati uno spartiacque decisivo, rivoluzionando il modo di fare pasticceria, introducendo tecniche scientifiche e influenzando un certo modus di concepire il fine pasto come ultimo atto di un’esperienza estatica. Poco zucchero, sì, ma tanta golosità nei dolci di Luca Lacalamita: Noci e nocino, carote, uva candita e pera William è una composizione autunnale di carota cruda, noci di cioccolato caramellato, biscotto alla carota, biscotto di noce, gelato di noce, pera marinata e gelatina, tutto giocato sui contrasti di consistenze e di sapori, freschezza del tubero e del frutto in purezza e grassezza di cioccolato e frutta secca, per un dessert che al palato riecheggia un grane vino passito o un marsala, fresco, non stucchevole. Delizioso anche Attorno al castagnaccio: castagne, marroni, miele e mele, pinoli e rosmarino, in omaggio alla stagione autunnale con la rivisitazione in chiave nobile e giocosa della tradizione povera toscana, in un vorticoso alternarsi di consistenze ora vellutate ora croccanti, per un momento di gioia dei sensi davvero indimenticabile.