Davide Caranchini. L’eleganza e l’equilibrio di Materia

Si respira aria di primavera a Cernobbio, incastonata tra il lago di Como e il confine svizzero, il cui nome è certamente noto per il famoso convegno di Villa Erba in cui ogni anno sfilano i nomi più importanti dell’economia mondiale.

È una primavera gourmet che spira da un piccolo ristorante aperto da pochi mesi in centro da tre giovani ragazzi non ancora trentenni, e battezzato “Materia”, nome emblematico che racchiude la filosofia senza fronzoli del locale e della sua cucina, minimalista, essenziale e concreta.

Se si è in cerca della definizione di bravo cuoco, Davide Caranchini ha tutte le caratteristiche per incarnarla. Nonostante la giovane età (26 anni) e un percorso di rito disseminato di esperienze soprattutto come stagista presso i nomi più stellati della ristorazione nazionale e internazionale, Davide mostra una precisione, una tecnica, un’eleganza, una padronanza delle materie prime che unite alla curiosità, all’umiltà e al palato, lo rendono una vera scoperta.

Certo, essere stagista al Noma a 23 anni, dopo un soggiorno a Londra in uno dei locali di Ramsay, passando per la partita di pasticceria nel ristorante Apsley’s curato da Heinz Beck, e al Le Gavroche dove apprende le basi e il rigore della gerarchia francese, può sembrare una cosa non da tutti.

“Nei quattro mesi al Noma eravamo un esercito di stagisti, ma è stata un’esperienza unica che mi ha aperto un mondo. Certe mattine arrivavamo alle 6 nello spogliatoio e davanti ai nostri armadietti trovavamo degli stivali di gomma, segno che dovevamo uscire e andare a fare foraging di erbe e radici. Altri giorni arrivavano dei sacchi pieni di formiche, che rovesciavamo sui banconi e selezionavamo una a una con le pinzette”, racconta lo chef con fare divertito.

Il rientro in Italia è segnato da un passaggio di due mesi da Pinchiorri, ma poco dopo arriva la decisione di aprire un locale per conto proprio, insieme alla compagna Ambra che l’ha sempre seguito in tutte le sue esperienze in Europa e che in parallelo ha maturato una discreta professionalità in sala, e al di lei fratello Marco, addetto alla sala.

Materia, Davide Caranchini, scomposizioneLe lezioni di Redzepi e Crippa si sono talmente radicate in Davide che ha deciso di costruire una serra con le proprie mani con materiali di recupero a pochi chilometri dal ristorante: un alveo in cui coltivare le sue adorate erbe – nasturzio, pimpinella, artemisia, assenzio, levistico, una sessantina in totale – in mezzo ad abeti e altre piante cui attingere quotidianamente per arricchire i propri piatti.

La scommessa dello chef è interpretare il proprio territorio in chiave moderna partendo da tutte le lezioni acquisite e dare una scossa a una tradizione cristallizzata in piatti cliché rivisitandoli in maniera creativa e personale.

Il menù esordisce con una girandola di sapori all’insegna dell’acidità e della freschezza.
Tra gli snacks, la crème fraîche, succo di abete, sale di umeboshi, gemme di abete sott’aceto e foglia di indivia da utilizzare come cucchiaio è un armonioso incastro di agrodolce dalle note acide e amaricanti, sorprendentemente equilibrato e dal minimalismo quasi orientale. Il miglior preludio a un pasto che è tutto in crescendo.

Tra gli antipasti la predilezione per i vegetali dà il meglio di sé nella tartare di rape rosse al carbone, radice di prezzemolo e levistico (presente sia con le radici polverizzate sia con le foglie), la cui estetica ricorda la pulizia e l’essenzialità di Crippa. Un piatto fresco che nobilita la terra amplificandone mineralità e dolcezza.

Interessante anche la trota salmonata marinata, rafano, ciliegie e brodo freddo di mela, con la pelle bruciata a dare croccantezza e amaro, mentre la ciliegia e il rafano sgrassano la trota scandendo nettamente i sapori.

La lingua di vitello, barbabietola, ribes e shiso in cui la lingua è cotta prima a vapore, poi alla piastra e la cui salsa ottenuta dalla riduzione di estratto di barbabietola e fondo di vitello, coi ribes fermentati e foglia di shiso verde, conferma la bravura dello chef nel dosare i sapori, e la sua ricerca gustativa che si volge spesso a oriente.

Tra i primi le Penne Felicetti, mirtilli, aglio nero, parmigiano reggiano di vacca rossa e dragoncello messicano spiccano per originalità, dove le penne sono cotte per un quarto in acqua e finite in succo di mirtilli e purea di aglio nero, e infine servite con gocce di fonduta di parmigiano e foglie di dragoncello messicano.

I tortelli con animelle di vitello, tè nero, brodo di pollo allo yuzu sono un vero piatto fusion in cui avviene il piacevole incontro tra tradizione francese, italiana e orientale.

I secondi spaziano dal Lucioperca, orzo, tarassaco e burro acido, con il pesce cotto in padella – lo chef non ama le cotture sottovuoto – l’orzo mantecato con purea di tarassaco e salsa beurre blanc con capperi di tarassaco, fino a un magnifico piccione, omaggio alla grande tradizione francese della presentazione in due servizi.

Una nouvelle vague di giovani cuochi – e pensiamo anche a Francesco Brutto e Oliver Piras, di cui Davide è molto amico – che si stanno imponendo a grandi passi e con grande umiltà e che vale la pena conoscere e seguire.

Non dovrebbe stupirci se un giorno un signore col cappello e un prezioso quaderno sotto braccio, dal leggendario nome di Henry Pascal, siederà a un tavolo del Materia per godersi un pranzo di Davide Caranchini.

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