Banfi, il Castello incantato

Non so cosa sarebbe oggi Montalcino senza Banfi, e sinceramente il dilemma è identico anche per il contrario: cosa sarebbe Banfi senza Montalcino? Difficile distinguere un terroir enoico celeberrimo dall’azienda che, senza dubbio, l’ha inventato quel terroir, almeno nella sua accezione moderna.

Banfi rappresenta il passato di Montalcino, da quando la famiglia Mariani nel 1978 decise di investire grazie a Ezio Rivella una quantità inverosimile di denaro in un territorio più che depresso. I Mariani fondano Castello Banfi, assemblando una proprietà di ben 2.830 ettari, e soprattutto danno concretezza alla visione di Rivella che aveva in mente la realizzazione di un’azienda “ideale”.

In tanti anni di attività la Banfi non ha mai tradito i principi ispiratori con cui è nata, tutti riconducibili a un unico e fondamentale concetto, ovvero un’armonia assoluta tra tradizione e modernità. Si preserva il passato alla Banfi, ma si costruisce il presente guardando al futuro, grazie all’impegno e al lavoro di centinaia di persone in perfetto equilibrio tra di loro e con la loro terra.

D’altronde della Banfi tutto si può dire meno che non abbia mai avuto il coraggio di osare nel momento in cui si è trovata di fronte a scelte anche impopolari. Basti pensare al progetto di vinificazione “Horizon”, inaugurato con la vendemmia 2007, con quei tini di fermentazione in legno e acciaio che tanto hanno fatto scalpore. Poi magari, dopo qualche anno, non fanno più notizia quei tini e qualcuno te li copia pure. Ma alla fine quello che conta veramente è la qualità di quei 75 centilitri di liquido contenuti in una bottiglia di vino. E personalmente ho sempre trovato i vini di Banfi di un’invidiabile simmetria, pulizia e identità. Nessun gioco di stile, solo purezza, vinificazione e tecnica.

Una sensazione ribadita a più riprese negli ultimi anni, ogni volta che ho fatto visita alla Banfi. Anche nell’ultima più recente, divisa tra l’esperienza di un pranzo in cui il numero delle bottiglie ha superato di gran lunga quello dei piatti assaggiati alla Taverna di Castello Banfi, e una degustazione più tecnica direttamente in cantina.

Ed è qui che, ancora una volta, sono riusciti a sorprendermi. Davanti a me tanti calici pronti a offrire l’istantanea della produzione Banfi degli ultimi 5 anni. Decisamente splendidi il Brunello Poggio alle Mura 2013 e Riserva 2012, ma questa non è una notizia. La novità è invece lo stupore per gli assaggi delle annate più recenti, divisi chirurgicamente in Cru. Marrucheto, Santa Costanza e Mandrielle, tre vigne meravigliose, di età variabile da 6 ai 12 anni. Terreni differenti che danno risultati diversi: in tutte e tre le annate (2017, 2016 e 2015) il Marrucheto ostenta equilibrio, il Santa Costanza grande potenza e il Mandrielle un’eleganza insuperabile. Ecco, è proprio il Mandrielle il mio vino, perfetto, sensuale e poetico, tanto che un po’ di curiosità nel vederlo in futuro non in assemblaggio ma in perfetta solitudine c’è.

E forse è proprio questo il futuro di Banfi: portare alla sua massima e inimitabile rappresentazione l’identità, o meglio “le identità”, del Brunello di Montalcino.